La Zisa e La Cuba – Palermo

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Il Castello della Zisa (dall’arabo “magnifico”, “splendido”) fu costruito in piena dominazione normanna, ed è una delle più significative testimonianze dell’arte arabo-normanna in Sicilia. La costruzione voluta da Guglielmo Ι d’Altavilla, fu progettata da architetti arabi , il castello veniva utilizzato come residenza estiva. Osservando l’edificio, si nota subito lo stile architettonico di origine araba a cui i sovrani normanni si ispiravano tantissimo. In effetti, i Normanni, subentrati agli Arabi nella dominazione dell’Isola, furono fortemente attratti dalla cultura dei loro predecessori. I sovrani vollero residenze ricche e fastose come quelle degli emiri ed organizzarono la vita di corte sul modello di quella araba, adottandone anche il cerimoniale ed i costumi. Fu così che la Zisa, come tutte le altre residenze reali, venne realizzata alla maniera “araba” da maestranze di estrazione musulmana, tenendo a modello i palazzi dell’Africa settentrionale e dell’Egitto, a conferma dei forti legami che la Sicilia continuò ad avere, in quel periodo, con il mondo culturale islamico del Mediterraneo. La Zisa delle origini era inserita nel grande parco reale di caccia del Genoardo (paradiso in terra), che si estendeva ad occidente della città. Tutti gli edifici reali ricadenti in esso (oltre alla Zisa, il palazzo dell’Uscibene e i padiglioni della Cuba e della Cuba soprana) erano circondati da splendidi giardini, irrigati ed abbelliti da fontane e grandi vasche, utilizzate anche come peschiere. La costruzione è a pianta quadrangolare, sul cui prospetto principale si aprono finestre bifore e tre vani ricchi di fregi, decorazioni, stucchi e soffitti a stalattiti. All’interno del castello sono bellissime camere decorate in stile arabo, la più famosa delle quali è sicuramente la sala centrale che presenta un elegante mosaico e una fontana al centro. Sulla volta dell’arco di ingresso sono dipinti alcuni diavoli che hanno alimentato una misteriosa leggenda: si dice che siano i custodi di un incantesimo che nasconde il tesoro dell’imperatore; durante la festa dell’Annunziata essi si muovono, storcono la coda e non è possibile contarli con esattezza. Le sale della Zisa ospitano un piccolo museo che espone significativi manufatti di matrice artistica islamica, provenienti da vari paesi del Mediterraneo La Cuba Sulle origini del nome regna molta incertezza: l’ipotesi più probabile è che Cuba significhi “casa quadrata”. L’edificio fu costruito da Guglielmo II nel 1180: per la costruzione, il re si avvalse di architetti arabi. Prossimo al palazzo reale, il posto in cui sorse la Cuba era un grande parco chiamato Genoardo, ossia “paradiso in terra”, perché ricco di acque e di magnifici giardini. La costruzione era ad un solo piano, diviso in tre parti, priva di appartamenti privati. Era circondata da un laghetto quadrato, oggi scomparso. In definitiva, la Cuba era un grande padiglione dove il re soggiornava nelle ore diurne, assisteva a feste e cerimonie, riposava e si rinfrescava durante le giornate più afose I muri spessi e le poche finestre si pensa siano dovuti ad esigenze climatiche, offrendo maggiore resistenza al calore del sole. Inoltre, si ritiene che la maggior superficie di finestre aperte fosse sul lato nord-orientale, perché meglio disposta a ricevere i venti freschi provenienti dal mare, temperati ed anche umidificati dalle acque del bacino circostante. L’interno della Cuba era divisa in tre ambienti allineati e comunicanti tra loro. Al centro dell’ambiente interno si vede un impluvio a forma di stella a otto punte, che serviva come bacino di raccolta delle acque piovane. La sala centrale era abbellita da muqarnas (stalattiti delle quali ne rimane solo una); vi erano quattro colonne e le stanze laterali erano adibite a luoghi di servizio e come corpo di guardia. Nella sala, ubicata sul lato nord, si trova un’iscrizione araba, datata 1180, che viene così tradotta: ” … nome di Dio clemente e misericordioso. Bada qui, fermati e mira! Vedrai l’egregia stanza dell’egregio tra i re di tutta la terra Guglielmo II. Non v’ha castello che sia degno di lui. …Sia lode perenne a Dio! Lo mantenga ricolmo e gli dia benefici per tutta la vita” . Dopo i Normanni, lo splendore della Cuba e del suo parco si spense. Il “paradiso della terra” fu devastato; gli Angioini infierirono sugli alberi e le vigne, che erano stati coltivati con tanta cura. La Cuba cadde nell’oblio. Solo il Boccaccio, nel suo Decamerone, vi ambientò una delle sue più belle novelle, la sesta novella della quinta giornata. Durante la peste del 1575-1576, la Cuba fu trasformata in lazzaretto. Successivamente, il governo borbonico vi insediò la cavalleria. Nel 1860 tutta l’area militare e la Cuba divennero proprietà dello Stato Italiano. Di recente la Cuba è stata ceduta alla Regione Siciliana, che, dopo un valido restauro, ha restituito all’edificio il suo legittimo splendore.

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PALERMO – Palazzo dei Normanni e Cappella Palatina

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Il Palazzo Reale dei Normanni sorge nella posizione più elevata dell’antico nucleo cittadino, proprio sopra i primi insediamenti punici, le cui tracce sono tuttora visibili nei sotterranei. La prima costruzione, il “Qasr”, ossia il “Palazzo” o “Castello”, è attribuita al periodo della dominazione araba della Sicilia (IX sec.). I sovrani Normanni trasformarono il precedente edificio arabo in un centro complesso e polifunzionale che doveva esprimere tutta la potenza della monarchia. Venne così realizzata una struttura di edifici turriformi collegati tra di loro con un sistema di portici alternati a giardini, che ospitava anche laboratori di oreficeria e di produzione di tessuti (il kiraz). Il complesso era inoltre collegato direttamente alla cattedrale tramite una via coperta. In seguito, gli Svevi mantennero nel palazzo le attività amministrative, di cancelleria e letterarie, ospitandovi la scuola poetica siciliana. Gli Angioini prima e gli Aragonesi poi privilegiarono altre sedi a scapito del castello. Il palazzo tornò a occupare un ruolo importante nella seconda metà del XVI sec. quando i viceré spagnoli lo elessero a propria residenza, procedendo di pari passo a importanti ristrutturazioni. A partire dal 1947, il Palazzo dei Normanni divenne la sede dell’Assemblea Regionale Siciliana. La Cappella Palatina è una basilica a tre navate dedicata ai santi Pietro e Paolo. Fu fatta costruire per volere di Ruggero II e venne consacrata il 28 aprile 1140 come chiesa della famiglia reale. Le tre navate sono separate da colonne in granito e marmo cipollino a capitelli compositi che sorreggono una struttura di archi ad ogiva. Completa la costruzione la cupola, eretta sopra le tre absidi del santuario. La cupola e il campanile originariamente erano visibili dall’esterno prima di venire inglobate nel Palazzo Reale in seguito alle costruzioni successive. La cupola, il transetto e le absidi sono interamente decorate nella parte superiore da mosaici bizantini, tra i più importanti della Sicilia, raffiguranti il Cristo Pantocratore benedicente, gli evangelisti e varie scene bibliche. I mosaici di datazione più antica sono quelli della cupola, risalenti alla costruzione originaria del 1143. Il soffitto in legno della navata centrale e le travature della altre navate sono decorate con intagli e dipinti di stile arabo. In ogni spicchio sono presenti stelle lignee con rappresentazione di animali, danzatori e scene di vita della corte islamica. Danneggiata dal terremoto nel settembre 2001 fu sottoposta a restauri, conclusi nel luglio 2008.
Video e testo di: Galante Carlo

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Il castello di Maredolce

Il lago veniva navigato dal re e dalla sua corte per soddisfare i loro momenti di piacere personale , ed era anche utilizzato, data la gran quantità di pesci, come riserva di pesca.
Celebri rimangono i versi del poeta arabo nato a Trapani nel XII secolo

Situato alle pendici del Monte Grifone, nella periferia sud di Palermo, oggi quasi nascosto alla vista dalle costruzioni che lo circondano,  il “castello” della Favara o di Maredolce, nasce probabilmente nel periodo arabo  tra il 998 ed il 1019, durante il governo dell’emiro Kalbita “ Ja’Far II”, come dimora suburbana.
Sotto i re normanni, a cui piacquero la posizione e l’organizzazione del complesso architettonico, ed in particolare con Ruggero II, il castello  subisce un vasto intervento di trasformazione e di ampliamento, diventando così uno dei “solatii regii”, i luoghi di delizia dei sovrani normanni. Sempre al primo re normanno di Sicilia va attribuita la realizzazione della bella peschiera  chiamata con  termine arabo “Albehira”, che  era alimentata da una copiosa fonte esistente ai piedi del Monte (la sorgente della Fawwarah), che sgorgava da tre grandi fornici ad arco acuto e da li veniva incanalata.
L’edificio primitivo infatti, come ancora può vedersi, era circondato per tre lati dall’acqua di un lago artificiale che per le sue grandi dimensioni prese il nome di “Maredolce”, nella quale furono immessi, provenienti da diverse regioni, pesci di svariate specie, come si sa dalle cronache coeve.

Il lago

Il lago veniva navigato dal re e dalla sua corte per soddisfare i loro momenti di piacere personale , ed era anche utilizzato, data la gran quantità di pesci, come riserva di pesca.
Celebri rimangono i versi del poeta arabo nato a Trapani nel XII secolo,’Abd’ar Rahman:
”Ho quanto è bello il lago delle due palme e la penisola nella quale s’estolle il gran palagio!
L’acqua limpidissima delle due polle somiglia a liquide perle e il bacino a un pelagio.
Par che i rami degli alberi si allunghino per contemplare il pesce nell’acqua e gli sorridano.
Nuota il grosso pesce in quelle chiare onde e gli uccelli tra que’ giardini modulano il canto.”
Al centro del lago sorgeva una piccola isola artificiale di forma irregolare, piantata ad agrumi e con un palmeto, dove il re si recava per stare immerso nelle delizie.

Il palazzo

Il palazzo che originariamente doveva svilupparsi,  con due elevazioni, intorno ad una vasta corte a “L”, con portici coperti da volte a crociera (di cui restano solamente delle tracce), presenta un impianto di forma rettangolare  con una rientranza nell’angolo est, che ne spezza la linearità dell’andamento. I prospetti sono scanditi da una serie di archi a “rincasso”, alcuni dei quali rinvenuti in seguito ai lavori di restauro, con finestre di esplicita derivazione islamica disposte liberamente.
Il prospetto principale del complesso è quello di nordovest, l’unico che non era bagnato dalle acque del lago, dove si aprono quattro varchi che consentono  l’accesso nell’edificio, il primo immette nell’Aula Regia, il secondo nella cappella, il terzo all’interno del grande cortile mentre l’ultimo ingresso è tamponato. In questa parte del castello, che oggi troviamo in miglior stato di conservazione, si trovavano gli spazi destinati alla rappresentanza, mentre gli ambienti privati erano disposti lungo i lati meridionale, orientale ed occidentale. Una simile distribuzione degli spazi è stata assimilata e confrontata con quella dei “ribat” dell’architettura islamica, veri e propri conventi fortificati che ospitavano i combattenti della fede mussulmana.
Il palazzo era anche dotato, com’era consuetudine in epoca normanna, di una cappella privata che il re volle dedicare ai Santi Filippo e Giacomo (Ecclesiam Sanctorum Philippi et Iacobi de Fabaria).

La cappella

La cappella della Favara  collocata  forse sullo stesso luogo della originaria moschea privata dell’emiro, è formata da una nave unica di forma rettangolare con due campate coperte con volte a crociera e da un piccolo transetto non aggettante che attraversa il presbiterio, che si conclude nell’abside. Il centro del presbiterio è coperto da una piccola cupola semisferica, posta su un alto tamburo ottagonale che si raccorda alla nave mediante nicchie angolari pensili. Nelle pareti si conservano ancora le tracce di affreschi, purtroppo andati perduti, ma ancora visibili ai tempi del Mongitore e del Di Giovanni ( XVIII-XIX sec.).
La cappella riprende i temi tradizionali dell’architettura ecclesiale bizantina. Di chiara impronta bizantina è infatti la tipologia dell’impianto ad unica navata, ma anche la sua disposizione, essa ha infatti l’abside rivolto ad oriente secondo la tradizione della chiesa di Bisanzio.

All’esterno del palazzo molti storici citano la presenza  di un complesso termale (Vincenzo Auria lo raffigura come una struttura coperta da cupole in un disegno del XVII secolo e Gaspare Palermo lo vede ancora nel 1816), ciò conferma che l’antica” Portae Thermarum”(Porta Termini), aveva preso questo nome , non per la città di Termini, ma per le terme di Maredolce, che si trovavano  distanti qualche miglio dalla città.

I proprietari

Durante la sua plurisecolare vita il castello della Favara ha registrato vari cambi di proprietà, che ne hanno determinato continue manomissioni. Infatti, estinta la dinastia normanna, il castello appartenne al demanio regio fino a quando, nel 1328, Federico II d’Aragona lo cedette all’Ordine dei Cavalieri Teutonici della Magione, che lo trasformarono in ospedale, utilizzando le acque termali a fini terapeutici.
Nella prima metà del XV secolo fu concesso in enfiteusi alla potente famiglia dei Bologna cui appartenne fino alla fine del XVI secolo, che vi impiantò un’azienda agricola. Nel secolo XVII passato in proprietà del duca di Castelluccio Francesco Agraz, mantiene la stessa funzione, fin quando tra il 1777 e il 1778 si riduce a caseggiato agricolo opportunamente adattato a tale scopo dall’architetto Emanuele Cardona. Negli anni successivi l’edificio cadde in abbandono, le sue strutture andarono in rovina, e tutto il complesso cadde nell’oblio al punto che fu utilizzato come ricovero di animali meritandosi l’appellativo di “Castellaccio”.
Acquisito infine al demanio regionale, la Soprintendenza ai BB.CC. e AA. di Palermo ha condotto un esteso e impegnativo restauro del castello eliminando tutte le superfetazioni che nel tempo avevano cambiato la fisionomia del manufatto, avviando anche, un programma di recupero dell’intera area così da poter essere restituita alla pubblica fruizione.
Poco o quasi nulla rimane però del grande lago, ormai prosciugato da tempo e sostituito da un agrumeto.

Castello della Favara a Maredolce

Via Giafar – svincolo Porto
Tel.: 0917071425 – 3357957161

Fonte: palermoviva.it